
È un po’ difficile cominciare a tirare le somme di un lavoro di 3 mesi e mezzo. È difficile quando non vuoi solo parlare dei risultati, ma vuoi costruire un bilancio soggettivo di quello che hai fatto. Hai ben chiaro tutto il percorso, e mostrare due fotografie, per quanto dettagliate siano, di ciò che ancora non c’era, e di ciò che è stato fatto, risulta soddisfacente solo da un punto di vista tecnico. Questa dinamica risulta chiara nel momento dell’utilizzo del’opera, e mai prima. Prima c’è la soddisfazione di essere riusciti a fare ciò che ci si era prefissato di ottenere. Soddisfazione del tutto personale. Ma le dinamiche cambiano fortemente quando altre persone entrano a far parte delle conseguenze (spero benefici in questo caso) di ciò che hai fatto.
Quando Padre Mario decide di celebrare l’inaugurazione con una manifestazione ufficiale e pomposa, alla presenza di tutta la scuola, quando indice una messa per fare un’omelia incomprensibile in kinyarwanda, dove l’unica parola chiara era “computer”, quando arrivi a scuola e hai la poltrona d’onore davanti a 700 studenti, e in fianco: il capo della polizia, il capo del settore, il sindaco, e una serie di autorità non meglio identificate, quando Stefano fa un discorso di mezz’ora sull’importanza della comunicazione, quando ti ballano davanti, quando tagliano il nastro, entrano nelle aule, e le autorità di cui sopra si rendono conto di quello che avete fatto manifestandolo con un gran sorriso, quando la grande festa termina con una cena, e tutti i professori sono contenti davanti alle loro birre, e quando , probabilmente a causa delle suddette birre, i professori vengono a ringraziarti per “il grande lavoro che hai fatto, perché quando studiavo io qua non c’era niente”, allora, e solo allora, ti rendi conto di cosa significa tutto questo per gli altri, e la soddisfazione personale lascia spazio alla felicità collettiva.
Ma quando, il giorno dopo, Principe, con i suoi soliti modi ottocenteschi, fa accomodare come si addice ad un valletto di corte, il signore che entra nell’internet cafè di Muhura, e dopo avergli spiegato le procedure mi comunica: “Marco -lunga pausa- abbiamo il nostro primo cliente”, non puoi fare a meno di guardalo con orgoglio, cancellare tutto il lavoro fatto, e goderti il risultato con un grande grazie a lui, Anastase e Stefano.
Ora è già passato qualche giorno dall’inaugurazione, l’internet cafè funziona, l’aula di informatica viene utilizzata regolarmente, spesso vado giù a controllare, ma non c’è molto da fare. Sono bravi. E questa forse è stata la più grande fortuna. Anastase e Principe (che si legge prinsìp, e non principe, benché i suoi modi potrebbero pienamente giustificare questo nome), sono due professori, il primo è qui da sempre, l’altro è appena arrivato, ma benché loro siano sempre più puliti di me, ci siamo sporcati le mani insieme. Stefano ha sempre aiutato, è sempre stato disponibile, ma essendo sempre a Byumba, non si è beccato la foto celebrativa. Così impara. Il secondo giorno di Rwanda mi ha detto: “nessuno può sapere a priori se ti può piacere Muhura o no”. Lui c’è stato, gli è piaciuta, e benché lavori ad un progetto molto più grande ed impegnativo, forse sa anche, che non restando qui, si è perso molto di più di una semplice apparizione in una foto.
