
Questo qualche secondo prima che arrivassi io. Poi è arrivato il tornado, la pioggia di fuoco, l’invasione delle cavallatte, l’invasione dei turchi, tre terremoti e due meteoriti e una guerra che dura da 12 anni. Questa però è vera. Bukavu è in Congo, appena dopo Cyangugu. Le due città segnano il confine tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo (RDC), segnando anche il confine tra l’asfalto e le sabbie mobili. Per chi arriva dal Rwanda in un giorno di pioggia la distinzione è netta. Il colore è marrone, così dominante e forte che il ricordo lo si associa anche al cielo. Il fango copre qualunque buco, le targhe delle macchine, ed in generale qualunque regola stradale vigente. Un valzer di autocarri delle Nazioni Uniti danza con compostezza, costantemente, manifestando apertamente la propria appartenenza alle varie officine ONU con dei sobri murales dipinti sulle fiancate. Ma il contrasto tra il Rwanda, europeo al confronto, e il Congo, non suggerisce desolazione, bensì quel meraviglioso bordello che contraddistingue le grandi città africane. Un casino che non si può percepire da lontano, dall’alto, da una collinetta che ti permette di osservare la maestosità del lago Kivu, della foresta di Nyungwe, ancora in Rwanda, e la Botte, lo stivale, il quartiere presidenziale di Bukavu, che la fa assomigliare fortemente al promontorio di Bellagio, visto scendendo dalla Madonna del Ghisallo. Ma questo clima di pace che trasmette dall’alto fa violentemente a capate con l’atmosfera di anarchia che regna laggiù in basso, e per uno strano meccanismo contrario a quello di sopravvivenza, l’istinto è quello di scendere, di mescolarsi al disordine, di aggiungere il proprio contributo all’entropia. Di far scomparire Bellagio e far apparire Bukavu.
3 commenti:
Buon anno, Marcuz.
Continua così, ché sei forte.
gig
ciao marco
buon anno e continua ad alimentare
la tua vena poetica!
rai
...amo i tuoi occhi...per come sanno osservare...
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