martedì 11 novembre 2008

Amafaranga


Il kinyarwanda non è una lingua facile. Non lo dico io che ovviamente riesco solo a districarmi in una serie di convenevoli di saluto con un bignami fatto ad hoc, e anche se ogni frase fuori dal conosciuto è un universo indecifrabile, questo lascia comunque i rwandesi piacevolmente colpiti. Più per il fatto che io mi metta a pensare a cosa rispondere che per la risposta in se, credo. Ci sono strutture lessicali indecifrabili, come l’utilizzo della triplice negazione per rafforzare il senso di proibizione, o la differenza di lessico a seconda del grado di umidità atmosferica, il che, in una stagione in cui piove due volte al giorno crea evidenti dubbi di comprensione, che per quanto mi riguarda sarebbero comunque presenti. Devo dire però che da parte nostra, durante la cena, c’è l’ostinatezza di seguire silenziosamente con sguardo serio ed interessato la televisione accesa grazie alle tre ore serali di corrente fornite dal gruppo elettrogeno. Le difficoltà linguistiche sono accentuate dal fatto che in Rwanda non esiste il concetto di "tecnico del suono" e pertanto quello che esce dagli altoparlanti è una sola parola di venti minuti composta solo da consonanti. In ogni caso, che si guardi il telegiornale o si vada al mercato, che ci si trovi in centro a Kigali, o nel cuore della Provincia del Nord, una cosa risulta sempre chiara all’orecchio di un ascoltatore accidentale: AMAFARANGA

Amafaranga vuol dire soldi. In una conversazione di cinque minuti presa a caso tra due persone è possibile riconoscere la parola amafaranga dalle quindici alle trentasette volte. I soldi sono il punto cardinale e centrale della vita di un ruandese. Ovviamente, non perché siano tutti dei broker di successo con dei problemi legati all’oscillazione del mercato asiatico, ma perché spesso il concetto stesso di vita è legato al concetto di soldi, e anche per quelle persone per cui questo non è vero, il rapporto col denaro rimane radicato nella cultura del paese. Storicamente la divisione sociale del Rwanda, poi trasformata dall’occidente, ed in particolare dal Belgio, in divisione etnica, si basava sul possesso di mucche, ed ancora oggi, per legge, anche se questa non viene messa a pascolare sulla moquette del soggiorno di casa, un marito deve dare in dote alla famiglia della moglie un valore pecuniario pari al valore di un numero stabilito di mucche. E, se in alcuni casi questo numero è uno ci si pone una serie di domande sul valore della donna in questo paese… o su quello della mucca.

In ogni caso si parla di soldi all’inizio, e alla fine di una contrattazione. Durante si parla di prezzo. Si cerca in tutti i modi di emanciparsi da una condizione violentemente forzata dallo stato economico, e mentre in Europa, malgrado ci siano crisi economiche violente, si trova il tempo di parlare di posti, di storie, di cultura, di facebook, di quanto si era storti la sera prima, di qualche pirla di turno, di programmi televisivi orrendi (che comunque tutti guardano perché tutti ne parlano, ma l’hanno visto solo due minuti una volta cambiando canale, per sbaglio), di musica, ancora di facebook, di Berlusconi, di Obama, di quello che Berlusconi dice di Obama, di Erika e Omar, delle tette della Ferilli e delle tette di Giuliano Ferrara, qui si parla di quanto sia stato conveniente un affare, e come si potrebbe riuscire ad ottenere di più la prossima volta.

Un analisi del taglio delle banconote credo che possa far capire lo stato dell’economia. L’economia quella micro, quella piccola. Quella delle monete, non quella dei bonifici. Quella del supermercato, non quella del prezzo del barile di greggio. Il taglio più piccolo è 100 Franchi Rwandesi (FRW). Chiamate anche marcioni a causa della loro peculiare capacità di veicolare una quantità di malattie paragonabile solo a quella delle fogne di Calcutta, sono evidentemente la banconota più usata. Il taglio più grande invece sono i 5000 FRW, circa 7€. E cosa ci compri? A Muhura un muratore li guadagna in cinque giorni. A Kigali fai un pasto. Se poi devi fare qualche acquisto per l’aula PC o per il cantiere, o devi pagare gli stipendi agli operai, esci dalla banca con un sobrio borsone da ginnastica pieno fino all’orlo. E quando ti si rompe la zip della borsa la Bank of Kigali ti fornisce una serie di discrete buste marroni di carta col bordo seghettato, che in Italia conterrebbero verosimilmente due michette, un francesino, e un pezzo di pane pugliese, da cui spuntano mazzette pronte per uno scambio alla gangster movie anni 30. Questo perché a parte a noi cooperanti, impiegati in grandi opere, e qualche ravveduto o scorretto investitore, alla maggior parte della popolazione, la sola vista dell’equivalente di 15€ nel portafoglio, produce una serie di sorrisi imbarazzati, uno sguardo ammirato, e un lieve gesto del capo che vogliono comunicare: “sei proprio un muzungo…”