venerdì 19 dicembre 2008

Raccolta differenziata


Finalmente le cose prendono forma. Quantomeno una forma simile all’idea di partenza. Una forma c’era anche all’inizio, ma era sbagliata. Bisognava tirare fuori un’aula informatica. Per due mesi è stato un cantiere ed in due giorni passa la fata turchina e PUFF! Tutto compare. Nello specifico la fata turchina è composta da un paio di maschioni neri e puzzolenti, e da me altrettanto nero (a causa delle avventure nel sotto tetto), e conseguentemente altrettanto puzzolente, tutti comunque in tutù e bacchetta magica, ma, loro, con delle braccia tipo camalli del porto di Genova, che spostano tavoli di legno massiccio come fossero stuzzicadenti. Per quasi due mesi il lavoro è stato nascosto da uno strato di polvere e matasse di cavi multicolore che sono state -assieme allo switch e al router satellitare, con le loro lucine di connessione- le uniche cose che hanno richiamato l’atmosfera natalizia, tipo addobbi in Venezuela, a quanto scrive Dennis. Poi arrivano i tavoli, le sedie, si installano i computer, e tutto diventa improvvisamente credibile. L’aula ha un senso. È subito riconoscibile. È un’aula informatica. È chiaro.
E quando una cosa di tale portata viene realizzata da una persona soltanto, un sistema di comunicazione (credo telepatico), porta ad un afflusso istantaneo di persone che bramano di vedere, toccare, usare. “Signori per favore, l’aula non è ancora disponibile, quando lo sarà ve ne sarà data comunicazione, grazie per la comprensione ”. Ma a loro dei computer non interessa nulla. Loro vogliono i cartoni. I cartoni dell’HP. Fossero stati IBM andava bene lo stesso, ma quelli dell’HP sono proprio belli, forti resistenti e multi uso. Al momento stesso che il muzungo dice: “prendete pure”, per 2 secondi capiscono l’italiano, e parte una lotta di cuscini, con il polistirolo al posto delle piume, della cui vittoria i più rapidi possono fregiarsi con una quantità imbarazzante di scatoloni impilati in testa, e un sorriso trionfale stampato sulla faccia.
Il giorno dopo altri PC, e altre scatole, e assieme a tutto questo pezzi di cavi, di canaline, di prese rotte e calcinacci di muro, sacchi di plastica, polistirolo, e manuali di istruzioni. Li scopo fuori dall’aula. Di nuovo, dopo 5 minuti è lindo che sembra la stazione di Zurigo. Chi ha buttato via tutto? E soprattutto dove, visto che non esistono cestini? A parte la polvere, che ce n’è in abbondanza per tutti e quindi non ha mercato, tutto il resto serve. Un sacchetto di plastica per un buco sul tetto, un pezzo di canalina è un’idea di grondaia, 10 cm di filo elettrico servono per tenere ferma una trave che si muove in casa, e le prese elettriche rotte non so proprio per cosa le usino. Solo le cose molto piccole vengono scartate perché il valore dell’oggetto viene calcolato in base alla sua dimensione, perciò lo scatolone vale veramente un sacco.
Il concetto di raccolta differenziata è superato. È superata l’idea che qualcosa non serva più perché non può più essere utilizzata per il motivo per la quale è stata costruita (scusate l’intrico di relative). Se c’è qualcosa a qualcosa servirà, e chiunque sia a dargliela, addirittura gratis, gliene saranno riconoscenti. E questo lo manifestano a modo loro (mi piace pensarla così), quando passo davanti a scuola e sento da lontano che mi chiamano per salutarmi, mi giro, ma non urlano “muzungo”, gridano “carton!”.

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