mercoledì 10 dicembre 2008

Considerazioni a caso sul Kenya


È vero ho scritto per un po’ e poi non ho scritto più. Un po’ perché ero preso dal lavoro e un po’ perché sono stato così poco preso dal lavoro che ero in Kenya. Lì sono stato così bene che la Kenya Airways ha deciso che il mio bagaglio sarebbe stato sicuramente più a suo agio a Nairobi che a Kigali. Però poi ci siamo spiegati, e dicono che proveranno a convincerlo a tornare. In ogni modo mi sembra doveroso buttare giù un paio di righe a riguardo. Non riguardo al bagaglio, riguardo al Kenya. Niente di preciso, bensì una serie di immagini costanti che mi hanno accompagnato in 12 giorni di permanenza all'estero. Dico all'estero perché mi sono accorto di considerare ormai il Rwanda alla stregua di casa.

Ma fuori dall'uscio, come sempre accade quando si esce c'e' un mondo nuovo. Un mondo in cui si vede fino all'orizzonte, senza colline, senza regole stradali, e con un oceano che cambia tutto quando la sua terra lo tocca. Un mondo pericoloso, di drogati, di uomini da marciapiede che fanno affari loschi secondo la Lonely Planet, che insinua un certo terrore nel lettore ignaro. Un mondo di persone genuine, vogliose di compagnia, secondo quello che ho visto io. Certo poi magari ti chiedono se vuoi una guida per visitare la luna -dove, peraltro sta sua nonna- ti propongono un giro in barca o un qualunque tipo di servizio, anche se non avevi mai pensato che a qualcuno potesse servire scambiare il prorpio dread con quello di un’altro, che in ogni caso ha suscitato in me una certa curiosità su come questo sarebbe avvenuto. Ma comunque una volta precisata la mancanza di soldi, più da parte nostra che da parte loro, sono sempre felici di indirizzarti, spiegarti, consigliarti un cugino che ha un’attività di paccottiglia artigianale e fare due chiacchiere. Quello che ho visto è un mondo un po' intangibile, senza immagini forti, senza scenari da re leone, senza il Kilimangiaro, le sue falde e Licia Colò, senza incoronazione della regina Elisabetta in mezzo a elefanti e rinoceronti impagliati, anche se ammetto che questo ha un sapore tutto suo. Quello che ho visto è stata una sensazione, se mi passate la sinestesia. È stata un immersione in una cultura forte ed aperta, estremamente eterogenea che chi la conosce meglio la definisce tipicamente Swaili. E credo che sia proprio questa diversità di culture che pone le basi per una tolleranza a tuttotondo. Quando in un bar ci si ritrova a parlare da una parte con un masai, che non capisce come in Italia non ci siano le etnie, e perché i leoni li può uccidere solo di qua, mentre di là no, perché gli hanno spiegato che si chiama Tanzania, dall’altra un rastone, che dice Bob Marley ogni tre parole, mentre davanti passano donne mezze nude o con il burka integrale e un uomo, tipicamente mediorientale, con tanto di fez e tappeto volante aleggia a mezza’aria con in mano una lampada magica, è evidente che: o la tolleranza è un concetto assunto per principio, o il Kenya non dovrebbe esistere dal momento stesso della sua indipendenza. A quanto il Kenya esiste eccome, e quindi non è vero che il diverso è necessariamente il nemico, o forse più semplicemente hanno spostato più in là il concetto di diverso. Per cui il muzungo che è inevitabilmente riconoscibile non ha altro da fare che accettare pacificamente tre persone che si danno il cambio al tavolo del tuo tentativo di cenetta intima, fare due chiacchiere, e sentirsi semplicemente a casa. In fondo la tonalità dell’abbronzatura non è così determinante. Una sensazione simile l’avevo provata solo un altro posto. In Senegal tra woloof, peulhs, mandingo, libanesi, diolas, cinesi, toucouleurs e una smodata quantità di etnie minori il toubab italiano è solo uno dei tanti. E se gli altri sono a casa allora lo sono anch’io; anche se questo è vero solo in parte, perché, tanto i francesi in Senegal, quanto gli inglesi in Kenya non possono fare a meno di rinunciare alla loro eredità coloniale, e, se sulla spiaggia di Yoff, a Dakar, i primi cercano di giocare a calcio sostenendo di essere i più forti, in maniera altrettanto improbabile, sulla spiaggia di Tiwi Beach a Mombasa, Mrs. Sheela, seduta sulla sua poltroncina vittoriana a fianco del tavolino stile impero non può rinunciare al suo tè delle 5. God save the queen…

3 commenti:

Anonimo ha detto...

grandissimo... bel blog e bella la descrizione del Kenya che è un posto cosi' lontano (anche intelletualmente) dal mio ufficio grigio di Barcellona in plaça Macia che quasi faccio fatica ad immaginarmi esista.

un abbraccio e un "goditela"

Anonimo ha detto...

Hola Marco,

un saluto da Milano , spero te la stia passando bene.

e per ricordarti che Milan l'è 'n gran Milan

...

Qvesta sera sun propri trist
voëri far du pass a ped
voëri ndar in quel bel lucal
doef se rid e se sta minga mal

Cossa riden lo sa la madona
cun quei pressi che gan de paga'
mi me sembran vuna massa de pirla
ndree' a plaudi' vun alter pirla

E intant sfraten la povera gent che la fa la vitascia
(la vitascia)
e ala tele se vede Israele che spaca le brascia
(spaca le brascia)
e i drugat che se fann i punturr
(sic sic)
e i finoecc che se slarghen el cul
(prot prot)
Ciapen l'ais, venn chi denter al Zelig e ghe'l' tachen a tucc
la lala la lalalala la lala lalala lalaaaa

Martesana Martesana prosicugada
(prosciugada)
mi voeuri save' perche' certi di' te toeuren l'acqua
(toeuren l'acqua)
quand'eri juven ghe fasevi el bagn
(el bagn)
dess che sun vecc ghe foe pu un cass
(vun cass)
ma perche' non prosciughen el Zelig e ghe fann un monumento
a Elio e le storie Tese?
la lala la lalalala la lala lalala lalaaaa
.......

saluti dal roberto di ISF
cià

godard ha detto...

"In fondo la tonalità dell’abbronzatura non è così determinante."

sei andato fino in Kenya e poi citi Berlusconi nella sua recente uscita volgare e razzista contro il presidente degli USA?
what's next?

gloria, fullerton, california