giovedì 5 febbraio 2009

Mi sono clonato



Mi sono clonato. E mi sono fatto paura. Un po’ per la mia faccia, un po’ perché funziona. E sembra strano perché è venuto fuori dal nulla. Cioè: è venuto fuori dalla polvere, dai fili, dagli scatoloni, dalle magliette sudate e da qualche camion. Per fortuna quello che è venuto fuori dalle magliette sudate è stato poi eliminato col napalm… C’èra da fare un’aula informatica. E ora c’è. Come per magia. Arrivi un giorno, guardi un po’ le cose, fai due chiacchiere, vai controllare, vai a fare, ti incazzi perché non hanno fatto, e allora fai di nuovo, e ancora, e ancora, e dopo neanche tre mesi ti trovi con le cose che funzionano. Già una parvenza di dignità era avvenuta con l’installazione dei tavoli, dei PC e una bella scopata alle ragnatele. Però c’era una certa esigenza di funzionamento del progetto. Cioè bisognava lavorare ancora. Lavorare in regime di quasivanno.

Lavorare quando le cose quasivanno è certamente una spinta a finire, ma dall’altra incredibilmente frustrante quando ti rimangono 15 piccole cose che inficiano tutto il lavoro, ma nella tua testa sono piccole, e quindi la motivazione è alle stalle, dove si rincontra con le magliette di prima. Quindi rinnovato dallo schiaffo delle tue ascelle, maturato da tue giornate ininterrotte nel sottotetto (dove mi hanno però gentilmente portato da mangiare, vedi Ho fatto un safari, NDR), stringi i denti e passi dal quasivanno, all’hopraticamentefinito, che al contrario eccita gli animi e le menti verso l’uscita dal tunnel, verso la luce.

La luce per la verità l’avevamo già vista da tempo; qualche mese prima quando lavoravamo sull’impianto elettrico ed avevamo stabilito la necessità di quattro neon. Quando ancora non pensavamo che saremmo riusciti, a gestire i PC, a gestire le aule, a gestire noi stessi nell’arduo compito di gestire le aule. Quando ancora la parola funziona era sempre preceduta e seguita –vedi la grammatica francese- da una inevitabile negazione, e non sapevo ancora come si dicesse: “bene”, in kinyarwanda, perché tanto non c’era bisogno di dirlo. Quando ancora la possibilità di proiettare sugli schermi di tutti i computer la stessa immagine, era ancora un sogno. Quando non avevo ancora capito che se si va a festeggiare la fine dei lavori alle 4 di venerdì, Anastase ha troppo tempo per scolarsi troppe birre (benché non divenga più loquace) , e lo devi fermare, altrimenti finisci i soldi, mentre Principe sia in grado di ubriacarsi con due fanta e una coca. Quando ancora maledicevi quelle scatole nere, e ora invece vedi la soddisfazione sulla faccia di tutti, tanto che per modestia e per rendere un mondo migliore alla fine ci siamo clonati tutti e tre.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh ma poi passi a mettere la wi anche a casa mia??