giovedì 12 febbraio 2009

Una grande festa



È un po’ difficile cominciare a tirare le somme di un lavoro di 3 mesi e mezzo. È difficile quando non vuoi solo parlare dei risultati, ma vuoi costruire un bilancio soggettivo di quello che hai fatto. Hai ben chiaro tutto il percorso, e mostrare due fotografie, per quanto dettagliate siano, di ciò che ancora non c’era, e di ciò che è stato fatto, risulta soddisfacente solo da un punto di vista tecnico. Questa dinamica risulta chiara nel momento dell’utilizzo del’opera, e mai prima. Prima c’è la soddisfazione di essere riusciti a fare ciò che ci si era prefissato di ottenere. Soddisfazione del tutto personale. Ma le dinamiche cambiano fortemente quando altre persone entrano a far parte delle conseguenze (spero benefici in questo caso) di ciò che hai fatto.
Quando Padre Mario decide di celebrare l’inaugurazione con una manifestazione ufficiale e pomposa, alla presenza di tutta la scuola, quando indice una messa per fare un’omelia incomprensibile in kinyarwanda, dove l’unica parola chiara era “computer”, quando arrivi a scuola e hai la poltrona d’onore davanti a 700 studenti, e in fianco: il capo della polizia, il capo del settore, il sindaco, e una serie di autorità non meglio identificate, quando Stefano fa un discorso di mezz’ora sull’importanza della comunicazione, quando ti ballano davanti, quando tagliano il nastro, entrano nelle aule, e le autorità di cui sopra si rendono conto di quello che avete fatto manifestandolo con un gran sorriso, quando la grande festa termina con una cena, e tutti i professori sono contenti davanti alle loro birre, e quando , probabilmente a causa delle suddette birre, i professori vengono a ringraziarti per “il grande lavoro che hai fatto, perché quando studiavo io qua non c’era niente”, allora, e solo allora, ti rendi conto di cosa significa tutto questo per gli altri, e la soddisfazione personale lascia spazio alla felicità collettiva.
Ma quando, il giorno dopo, Principe, con i suoi soliti modi ottocenteschi, fa accomodare come si addice ad un valletto di corte, il signore che entra nell’internet cafè di Muhura, e dopo avergli spiegato le procedure mi comunica: “Marco -lunga pausa- abbiamo il nostro primo cliente”, non puoi fare a meno di guardalo con orgoglio, cancellare tutto il lavoro fatto, e goderti il risultato con un grande grazie a lui, Anastase e Stefano.
Ora è già passato qualche giorno dall’inaugurazione, l’internet cafè funziona, l’aula di informatica viene utilizzata regolarmente, spesso vado giù a controllare, ma non c’è molto da fare. Sono bravi. E questa forse è stata la più grande fortuna. Anastase e Principe (che si legge prinsìp, e non principe, benché i suoi modi potrebbero pienamente giustificare questo nome), sono due professori, il primo è qui da sempre, l’altro è appena arrivato, ma benché loro siano sempre più puliti di me, ci siamo sporcati le mani insieme. Stefano ha sempre aiutato, è sempre stato disponibile, ma essendo sempre a Byumba, non si è beccato la foto celebrativa. Così impara. Il secondo giorno di Rwanda mi ha detto: “nessuno può sapere a priori se ti può piacere Muhura o no”. Lui c’è stato, gli è piaciuta, e benché lavori ad un progetto molto più grande ed impegnativo, forse sa anche, che non restando qui, si è perso molto di più di una semplice apparizione in una foto.

1 commento:

clio ha detto...

Mi sono finalmente aggiornata su tutte le tue ultime esperienze...si sa che ho i tempi un po' lunghi!
Come sempre è splendido "leggerti"...
Non smettere mai di scrivere, di raccontarci. Le tue parole sono "immagini"...a tratti mi pare davvero di "vederti" lì, di vedere ogni cosa, ogni istante.
Splendidi "regali"...soprattutto per chi, come me, sogna da sempre di poter vedere e vivere quei luoghi, non solo nei suoi paesaggi, ma nella sua vita, quella di ogni giorno, nella sua gente...magari un giorno lo farò, intanto grazie perchè mi regali un "sogno".
Ti abbraccio,

Clio