martedì 3 marzo 2009

Familiarità


Negli ultimi tempi ho trovato un po’ tempo per vedere Muhura. I ritmi violenti necessari per concludere le sale informatiche sono cessati ed il lavoro di gestione conseguente lascia un po’ più di tempo libero. Tempo libero per le peregrinazioni, per scoprire almeno una delle mille colline del Rwanda, visto che fino ad ora le avevo solo fotografate, e da lontano per giunta. Muhura è una collina, anche se vista da lontano, dalla diga di Enrico, assume più l’immagine di una striscia con la parrocchia a fare da capofila, come la cresta di un grande drago verde (no, non vedo i draghi, era solo un paragone –per inciso il drago verde è la collina-). Quindi l’esplorazione, che era rimasta confinata alla sola strada carrabile che attraversa Muhura, è cominciata proprio da qui.
Scendendo per un sentiero qualsiasi l’immagine assume delle tinte completamente diverse. La densità abitativa cala improvvisamente e si aprono i campi e le valli, prima nascosti dalla fila di case e banane sui bordi della strada. I sentieri percorrono scene rurali consuete come un piccolo pascolo di mucche, vegetazioni esotiche, e scene così tipicamente rurali e africane, che uno sceneggiatore di Gardaland, non avrebbe difficoltà a riprodurre per la nuova avventura 2009: “The Ecstasy of Gold”, vai anche tu alla ricerca del tesoro di Re Salomone attraverso le rapide più lunghe d’Europa, vivendo una vera esperienza africana. Sentieri che cambiano ogni trecento metri, perché qui le parcelle che ogni contadino coltiva non sono più grandi di due ettari, e su ognuna ci sono almeno tre colture. Sentieri che mostrano valli degne di un quadro di Mordillo, tanto sono arcuate le colline che le circondano, e tanti sono i colori degli innumerevoli campi che si possono osservare in un sol colpo d’occhio. Sentieri che possono non aver luogo e tempo. Solo la presenza costante di quelle case, può suggerire l’idea del continente nero. La testa non pensa, non elabora pensieri strutturati. L’unica cosa in grado di fare è guardare e non pensare. La differenza sta nel fatto che di solito mi dimentico anche di guardare… Poi d’improvviso, entra nella testa un immagine. Arriva a schiaffeggiarti violentemente. È il pensiero che vola all’aula informatica e all’internet cafè che sta per aprire. La sola idea dell’esistenza di un posto simile sembra assurda se paragonata all’immagine che si sta ancora osservando, e così adeguata se si pensa al luogo dove effettivamente si trova, benchè siano a distanza di 200m l’uno dall’altro. Perché tornando sulla strada ci si rende conto di come quella effettivamente sia il fulcro della vita sociale ed economica di Muhura.
La prima immagine (parlo proprio della prima, quella descritta nel post “strada per muhura” quella del “tutto nuovo tutto bello”) che si riceve da un posto così lontano dalle ottiche europee è viziata dalla diversità. La diversità è tutta uguale. Sempre. I cinesi sono tutti uguali, gli africani sono tutti neri, e le catapecchie sono catapecchie. Punto. La strada non è asfaltata, i colori sono diversi, la gente anche. È proprio osservando tutto questo che si lascia da parte una valutazione intrinseca delle cose a vantaggio di una grande confusione di colori, odori e immagini. Ma poco a poco le case, le facce, i posti e gli atteggiamenti diventano familiari. Si riconosce e si vede sempre di più, le cose assumono sfaccettature diverse e si comincia a distinguere sempre più a fondo, non vedendo più la diversità, ma concentrandosi sulle somiglianze verso ciò che si conosce. E in quel momento vedi lo struscio delle 5 di pomeriggio, vedi che la gente è vestita meglio e che passeggiano sulla via principale - che assume i toni di un corso - la domenica i muzungo sono i peggio vestiti, e dopo la messa si chiacchiera sul sagrato. Quando non sai che fare vai al mercato, tanto qualcuno lo incontri, e dopo averlo salutato passeggi verso casa con qualche pettegolezzo in più.
La diversità non c’è più. È tutto normale, come dev’essere.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

E' proprio così a poco a poco diventa tutto così naturale che ti dimentichi di avere la pelle bianca...te lo ricordi solo quando guardi una foto e dici:ma quello sono io!...
Ma lo shock piu' grande è scoprire quanto sono bianchi a Bruxelles...bianchi e vestiti bene...troppo...e il troppio stroppia ed è ora di ripartire...
:-) bb

stefano vergani ha detto...

bellissimo questo blog, scrivi proprio bene. sento che questa è una grande esperienza per te. un abbraccio, Stefano

Anonimo ha detto...

Come sempre appena arriva un tuo blog me lo “bevo”con tanta avidità proprio come quando si ha una gran sete ;dopo passato quel forte desiderio lo rileggo e me lo “bevo”più tranquillamente assaporando e scoprendo nuove visioni e nuove emozioni. Sogno da una piovosa Milano di essere lì anch’io felice di inserirmi in quella diversità che come tu sottolinei non c’è. Bravo Marco!
Mi regali tante belle emozioni!

Mamma